Mildlife • Suono e ritmo dei grandi spazi aperti
Il sole è alto nel cielo, sono in piedi sul vano di un pick-up verde sfregiato da strisce di terriccio, con le mani ben salde sul tettuccio accompagno con destrezza i sobbalzi quasi fossi un navigato surfista uscito dal cast di Point Break, sollevo il mento e le meraviglie dell’ Outback si manifestano via via, una dopo l’altra, proprio lì davanti a me.
Sono partito da Melbourne con la mia dose di urbanità fatta di valvole, cavi elettrici e file interminabili di potenziometri, una chitarra, un basso, una batteria e la voce che quasi non distinguo così immersa nei suoni e nel riverbero.
È così che immagino la Musica dei Mildlife, così assurdamente leggera e accattivante e con il potere di trasportarti in territori così lontani che il solo immaginarli ti rimanda al senso più sublime del desiderio di libertà e di bellezza.
Non c’è staticità, né tantomeno frenesia nei brani che si alternano in questo Automatic, così si chiama l’album che vi sto descrivendo, c’è invece un costante ritmo cadenzato e morbido dal fascino retrò ma c’è soprattutto il gusto della misura e dell’essenza. C’è quello che in molti inseguono e in molti casi non riescono mai a raggiungere, ovvero il suono.
Credo si possa affermare che non c’è la voglia di stupire o di arrivare chissà dove ma soltanto il desiderio, la necessità di raccontare senza tanto riflettere sul momento ma piuttosto sul movimento e sullo straordinario contrasto al quale assistiamo qualora immaginassimo di trovarci, per l’appunto, in un viaggio circondati da ampi spazi aperti senza sapere dove stiamo veramente andando ma con la sensazione di trovarci nel luogo che più ci appartiene o che ancora non sapevamo di portare nel nostro curioso e assetato cuore.
Cristiano Contin