Sanremo 2024 dà i “numeri”

Si è chiuso il sipario sul quinto e a quanto pare ultimo Sanremo di Amadeus che con assoluta disinvoltura ha sciorinato numeri su numeri usandoli come valore assoluto, come certificazione insindacabile su quanto di buono, secondo lui, sia stato fatto in questa edizione e in quelle precedenti.

Sanremo dà i numeri quindi, gli stessi numeri che hanno poi acceso polemiche alquanto grottesche sui presunti meriti o torti in quest’ultimo caso subiti dal mal capitato Geolier suffragato dal “popolo” e bistrattato dalla critica, aprendo il campo alla vittoria di Angelina Mango figlia d’arte e “prodotto” della ormai consolidata officina di talenti che risponde al nome di “Amici” e poi Ghali nuovo paladino delle minoranze etniche, e poi l’ennesima rivalsa della Bertè, e poi le malinconiche e ruvide grida di Irama e poi lo yodel di Sangiorgi e poi “E poi” di Giorgia che diventa il pretesto per mettere tutti d’accordo, sì ma d’accordo su cosa? Sul fatto che saper cantare è un requisito imprescindibile? Oppure che le canzoni debbano avere un certo spessore? O ancora per sdoganare definitivamente ogni preconcetto sul modo di fare musica? O meglio per avere qualcosa su cui discutere e magari dividere il pubblico come sempre avviene, del resto, al Festival con toni più o meno accesi e su temi più o meno scottanti?

Niente di tutto questo, o tutte queste cose assieme, poco importa. Ciò che più conta e che andrebbe evidenziato è l’assoluta e disarmante superficialità con la quale vengono presentate le proposte musicali, senza un racconto, una descrizione anche didascalica ma perlomeno ricercata sulla natura dell’artista che si accinge a calcare il palcoscenico e questo perché chi si occupa di scegliere e si arroga con cotanta presunzione tale compito sembra non sapere cosa sia la ricerca, l’ascolto e infine il talento.

Così si finisce per mettere in fila una mera e impersonale playlist, pronta ad abbattere ogni record possibile di streaming, ogni più rosea previsione, il meglio del meglio signore e signori (se ancora si può dire). Uno sforzo immane nel nome del consenso, dell’approvazione, del successo fine a sé stesso.

Che ci piaccia o meno ammetterlo, la scena musicale italiana oggi è questa, ridotta a spettacolarizzazione del prodotto e del personaggio di turno, divisa tra un pop tarantellato travestito da dance con aggiunta di autotune e qualche sporadico quanto zoppicante tentativo di cantautorato dalle belle intenzioni ma dalla scarsa preparazione. Ma il peggio non è questo ma il fatto che qualcuno si diletti a raccontarci che stiamo assistendo alla naturale evoluzione della musica italiana, che ciò a cui assistiamo è figlio delle tendenze mondiali, il famoso e redivivo “nuovo che avanza”. Cosa quanto mai più lontana dalla realtà e, Funky move, inteso come spazio di divulgazione cerca di esserne una delle possibili dimostrazioni poiché quello che avviene fuori dai nostri confini ci racconta ben altra realtà e ci stimola a considerazioni ben più articolate rispetto al qualunquismo tipicamente sanremese.

Tanti sono i generi, tante le influenze, tanti gli artisti che dall’ Hip Hop americano al UK Jazz fino al Folk Blues australiano o al Pop Jazz del Begio ci rimandano una infinità di spunti e di impulsi positivi verso linguaggi musicali freschi e contemporanei. Cerchiamo tutti insieme di uscire dalla retorica e dal dualismo tra giovanilismo a tutti i costi da una parte e nostalgici del “tutto è già stato inventato” dall’ altra ed entriamo in un dibattito sincero, stimolante che si armi di vero coraggio e non di astruse congetture perché la Musica è una forma d’arte e un linguaggio che non dovrebbe cercare consenso bensì condivisione.

Con il prossimo articolo proporremo 30 alternative pescate dalla scena mondiale uscite tra il 2023 e il 2024 alle 30 canzoni di Sanremo, restate in ascolto!

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