Adriano Celentano, la voce degli “inesistenti”
Se avessimo o trovassimo il coraggio di raschiare la patina oleosa e cromaticamente presuntuosa che ricopre la musica pop contemporanea, scopriremmo strade e percorsi mai più battuti, storie dimenticate, battaglie che sembrano non essere mai state combattute.
Eppure è tutto ancora lì, ben conservato, sotto i nostri occhi ormai sordi e non più soltanto ciechi; tutto è ancora ben nascosto dietro quella patina che oggi nessuno o quasi tra chi fa musica sembra voler metterne in discussione la valenza, come se la musica stessa fosse un’utopia, un’idea lontana, un concetto superato.
Che ci convenga o meno crederlo siamo nel mezzo di un cambiamento epocale, in cui l’opinione stessa, come quella che sto esprimendo in questo istante, fosse messa in discussione non come tale ma come concetto.
La Musica e l’arte sono tante cose a prescindere da ciò che la critica o meglio ancora la cronaca vuol farci credere, sono la voce della storia, di ciò che siamo, di ciò che sogniamo e di ciò che ci vergogniamo, sono frammenti delle nostre coscienze.
Negli ultimi anni la storia stessa sembra avere un unico narratore, una sola chiave di lettura, un unico pensiero condiviso.
La pandemia, l’emergenza, i lockdown, la digitalizzazione, i complotti, la paura.
“Tutto questo ci insegnerà a guardarci dentro”, ci dicevamo….e allora cosa abbiamo visto lì dentro? Che cosa abbiamo trovato?
Non abbiamo fatto nemmeno in tempo a elaborare una considerazione che via via, con un tempismo svizzero, sone arrivate tutte le risposte dai narratori più autorevoli, la scienza in primis e poi la politica e poi i divulgatori di notizie e ancora gli influencer e tutti gli altri.
Se mi chiedessero di descrivere questa situazione con una parola, la prima che mi verrebbe in mente sarebbe: propaganda, aggiungerei “di massa”, così per essere un tantino più catastrofici e assolutisti.
Tutti ci impegniamo a chiedere spiegazioni e soluzioni concrete per uscire dalla crisi e ripristinare il “sistema”, ma se invece chiedessimo soltanto aiuto? Chi ci ascolterebbe?
Era il 1966 quando un giovane ma già affermato cantante italiano, che già parecchi anni prima, con le sue molleggiate esibizioni, aveva cavalcato l’onda del Rock’n’Roll americano irrompendo e scardinando gli schemi della ingessata e velatamente ingenua televisione italiana, decise di presentare al Festival di Sanremo una canzone dai contenuti mai trattati in precedenza ovvero “Il Ragazzo della Via Gluck”. Si trattava di un viaggio malinconico nei luoghi d’infanzia del cantante per così dire violentati dalla corsa alla cementificazione a discapito della natura e delle sempre più risicate aree verdi. Celentano, prima di chiunque altro con almeno la sua stessa fama si intende, decide di porsi delle domande, di solleticare le coscienze, di dare un valore anche e perché no etico alla Musica stessa.
Molti in Italia e nel mondo racconteranno al pubblico le loro paure, i loro dubbi, le loro convinzioni attraverso le canzoni, da Bob Dylan ai Beatles, da Lucio Dalla a Giorgio Gaber e così via, la lista è lunghissima e speriamo si mantenga sempre aggiornata.
Seppure gli interessi economici e le logiche della crescita globale abbiano sempre e comunque avuto il sopravvento su tutto o quasi, gli artisti hanno sempre rappresentato un riferimento per le nostre personali riflessioni, i nostri sentimenti, il nostro bisogno di capire e di riconoscerci.
Oggi tutto questo sembra disatteso dalla quasi totalità della scena artistica mondiale, la paura di esporsi, il politicamente corretto, la spersonalizzazione hanno preso il sopravvento prevaricando l’umiltà e la stessa saggezza finemente ridimensionate dalle emergenze e dalle rivendicazioni di turno.
Così i nostri Vasco Rossi, Piero Pelù, Jovanotti, Zucchero, lo stesso Elio e molti altri si mescolano con tutto lo sciame di ovvietà, moralismi e in alcuni casi imposizioni con cui siamo costretti a confrontarci.
Adriano Celentano, il re degli ignoranti, più volte deriso, snobbato, volutamente accantonato e ridimensionato dai nuovi intellettuali continua, loro malgrado, a osservare, a restare lucido, a porsi domande come il più illuminato dei filosofi, come il più sensibile dei poeti e lo fa attraversando la patina inquisitoria delle piattaforme social con dei video ancora una volta dissacranti, intensi, pieni di esempi, spunti, brani musicali apparentemente distanti tra loro, lo fa con la sua voce roca, gentile e perentoria al tempo stesso, suscitando a volte la sensazione di essere quasi spaventata.
Celentano non pretende la ragione, non cerca la provocazione, non richiama l’attenzione; si sofferma su ciò che crediamo non esista poiché è consapevole del fatto che chi non ha voce non può essere ascoltato.
Sono passati più di cinquant’anni da quel Ragazzo della Via Gluck, oggi Adriano si presenta sui social come “L’inesistente” e proprio come allora, che lo si voglia o meno, rispetto agli altri è ancora inesorabilmente un passo avanti.
Cristiano Contin