Sanremo e la finta rivoluzione del mainstream
Parte dal Festival, con il Rock patinato dei Måneskin un messaggio equivoco e mai così lontano dalla realtà.
Partiamo subito col fare una premessa: ciò che seguirà non è una critica alle capacità e al talento della band citata nel sottotitolo, bensì una analisi sui modi di agire della comunicazione di massa, nel momento in cui essa stessa avviene; in questo modo, come di fatto ci siamo promessi con la nascita del nostro blog, cerchiamo di vedere le cose da un altro punto di vista.
Rivoluzione è la parola che da subito, una volta giunti all’ esito finale del Festival, con la noncuranza con la quale si scarta una caramella gettando a terra la cartina, ha dominato su titoli di giornale, trasmissioni televisive, post sui social e così via, trasportata da incontrollate o presunte tali folate di vento dalla bocca del cantante Damiano fino a Mara Venier per fare un esempio, accompagnate poi da un’altra magica parola che taluni interpreti del messaggio disconoscono e fingono di averne una assennata cognizione, mi riferisco alla parola Rock.
Cominciamo col dire che parlare di rivoluzione porterebbe a sottintendere che in Italia vi sia una sorta di scena o meglio ancora movimento dai chiari connotati Rock che in qualche modo ha preso forma, consapevolezza e struttura, e si prepara a sferrare il colpo decisivo o addirittura ha la presunzione di averlo già sferrato a tutto quello che fino ad oggi ha rappresentato il nostro paese in termini musicali, e lo farebbe in che modo? Con l’endorsement di Manuel Agnelli degli Afterhours e la benedizione di Amadeus, Fiorello, la zia di “Domenica in” e di tutta la Rai.
In un momento storico a dir poco epocale, in cui proprio la Musica e, in senso più completo, il mondo dello spettacolo è in ginocchio, massacrato da uno stop non ancora propriamente giustificato, un momento in cui chi osa contraddire o anche solo dubitare delle scelte e della gestione della pandemia viene additato come sovversivo o deriso come si fa con i visionari, un momento in cui si decide di organizzare un Festival a porte chiuse con l’intento propagandato di far ripartire la Musica stessa, quello che riusciamo, e qui voglio prendere le dovute distanze, quindi scriverò riuscite a dire è che a Sanremo ha vinto la Rivoluzione?
Io non vedo nessuna rivoluzione, perché semplicemente non esiste, non è in atto, né tantomeno i Måneskin sono i portavoce del Rock. Questi ultimi sono dei talentuosi musicisti che “riproducono” fedelmente certe sonorità a volte con connotati più affini agli anni’70, altre volte agli anni ’90, riproponendo anche nel look e nei contenuti che divulgano per la promozione un cliché in linea con le figure iconiche del Rock.
Stiamo assistendo all’ennesima, reiterata distorsione della realtà, e trovo alquanto urticante l’uso di parole dal significato così profondo come “Rivoluzione” per nascondere una ipocrisia e ahimè una ignoranza di fondo così disarmante. Apro una personalissima parentesi sul Rock e in maniera più estesa sul concetto che colloca l’Italia sempre indietro rispetto alle tendenze musicali mondiali, perché su questo ci vorrebbero tronfiamente istruire: non avverto nessuna esigenza di una qualsivoglia ondata di Rock e derivati nel nostro paese, l’Inghilterra, per dirne una, basta e avanza ad appagare i miei desideri in questo senso. A tal proposito sarebbe, a mio avviso, più intelligente ed appropriato, riferirsi a band come i Måneskin per descrivere come le loro canzoni possano in qualche modo far riscoprire alle nuove generazioni stili e linguaggi musicali molto poco usuali, collegandoli ai mostri sacri ai quali palesemente si ispirano e non a farli passare per rivoluzionari innovatori. L’innovazione, anche se dal mio punto di vista è un impoverimento, sarebbe da attribuire più alla scena Trap italiana in quanto, seppur musicalmente abbia meno sapore della panna sui tortellini, dal punto di vista comunicativo è la nuova forma di linguaggio giovanile nei cui contenuti si possono ricavare gli spunti sulla deriva di molti tra i valori della società liberista. Chi scrive è un esterofilo convinto, ciò non vuol dire che nel nostro paese, senza scomodare i grandi del passato classico, non vi siano delle peculiarità e in un certo senso uno stile dal quale trarre ispirazione per evolvere in nuove forme di scrittura. L’italia è il paese di Modugno, Tenco, Battisti, Fossati, Lauzi, Gaber, Jannacci, Baglioni, De Andrè, Concato, Pino Daniele, Elio e le Storie Tese, Vasco Rossi, Lucio Dalla e possiamo continuare per un bel po’; seppur questi artisti, come tutti del resto, avranno attinto da altri prima di loro, italiani o stranieri non fa differenza, non credo si possa dire che esistano nel resto del mondo i loro corrispettivi musicali. Se ne peschiamo uno qualsiasi tra questi ci troveremo in ogni caso al cospetto di repertori infiniti, canzoni leggendarie, arrangiamenti sublimi il tutto supportato da personalità ben definite e senza dubbio alcuno uniche.
Il nostro approccio alla musica, alla stesura delle canzoni, alla scrittura dei testi, la nostra infinitamente straordinaria lingua italiana, la nostra millenaria creatività sono il patrimonio che dobbiamo custodire e dal quale attingere per disegnare nuove rotte nel panorama musicale mondiale. Se guardiamo gli altri saremo sempre gli ultimi ad arrivare, se invece, al contrario, guardiamo noi stessi, non potremo che essere sempre i primi.
Buona Rivoluzione.
Cristiano Contin