Gegè Telesforo • Il Mondo in testa e la Musica nell’anima
Alla scoperta dei suoni e delle voci nel mondo senza confini di Gegè
Dal cuore in festa che batte poliritmico come recita un verso del singolo “Il Mondo in Testa” parte questo mio spassionato ed estemporaneo racconto mentre il sax di Max Ionata disegna scie di colori nei “Sentieri Arditi” di questo sorprendente quanto emozionante EP uscito nel buio pandemico con lo scopo di accendere nuovi desideri, nuovi luoghi che per gentile concessione della Musica hanno smarrito ogni limite e confine.
A dirigere i miei impulsi verbali è il rigore quanto mai misurato e pacatamente affabile di Gegè Telesforo, artista umile e raffinato che da decenni percorre le vie del Jazz tra improvvisazioni scat, collaborazioni internazionali e trasmissioni radiofoniche e televisive di successo, a tal proposito mi sento di segnalarvi l’indimenticabile D.O.C., un contenitore di live music nel quale si sono esibiti alcuni tra i più grandi musicisti del secolo scorso come ad esempio Pat Metheny e Michael Brecker, alla fine degli anni ’80 su Rai 2.
Il Mondo in Testa è uscito poco più di un anno fa, quando tutti noi affrontavamo quasi totalmente smarriti la surreale esperienza della reclusione, e tra la marea di dirette che i social trasmettevano, sfidando l’algoritmo che avrebbe voluto dirottarmi su qualche dibattito pseudo politico, la fortuna ha voluto che sui profili social dell’artista pugliese fossero iniziati degli appuntamenti quotidiani che raccontavano i retroscena di questo meraviglioso disco che in questo esatto momento ascolto insieme a voi con la stessa curiosità con la quale mi colse allora, mi auguro quindi che seguiate il mio stesso esempio.
Sceglierò, dunque, con cura tre parole per declinare dolcemente verso una più sincera e accurata sintesi dei sentimenti scaturiti dalla simbiosi con i suoni di questo disco.
Sollievo: questa è la prima sensazione che suscita l’ascolto di questi brani, che in alcuni casi diventano canzoni nell’accezione più nobile del termine, proprio quando queste sono interpretate dalla freschezza e dalla eleganza di giovani voci assolutamente peculiari come quelle di Simona Severini con Seby Burgio al piano in “Mille Petali” o di Ainè in “Genetica dell’ Amore”, oppure ci sussurrano segreti al riparo dagli occhi indiscreti del Pop per navigare in un mondo che ha la sapienza di scardinare i confini senza, tuttavia, alterare l’ordine immacolato delle cose e lo fanno con il fraseggio di Daniela Spalletta e Alfonso Deidda al sax in “Nommo” ad esempio, o nella “Religione dell’Universo”, prima e ultima tappa a segnare il passaggio di questa colorata carovana di suoni che attraversa il mondo con discrezione, mescolando l’impeto dell’Africa con l’eleganza della lingua italiana e con il fascino senza età del Jazz.
Ritmo: inteso come insieme, figure e paesaggi che si incontrano in un magico incastro di suoni simili a etnie, a lingue diverse sospinte dal vento del deserto, si spingono nei mercati d’oriente a gonfiare foulard di seta fino ad arrivare al mare dove tutto comincia nuovamente o dove, talvolta, ti fermi ad aspettare in silenzio con lo sguardo all’orizzonte il sorgere del sole.
Speranza: è ciò che ritrovo nei suoni e nei riflessi di questo magico ascolto, che seppure ci invita a sognare, a lasciarci andare, a non farci condizionare, sembra mantenere una velata sobrietà quasi a farci avvertire lo scricchiolio della terra sotto i nostri passi, perché tutto trovi il suo posto nell’Universo che noi amiamo definire Musica.